Anoressia
“La realtà non mi impressiona. Io credo solo nell’ebrezza, nell’estasi, e quando la vita ordinaria mi incatena, scappo, in un modo o nell’altro. Nessun muro mi può bloccare”
Anaïs Nin
L’anoressia è sicuramente la più conosciuta tra i disordini alimentari e interessa prevalentemente il gentil sesso, nonostante la percentuale tra i maschi sia in progressivo aumento e si aggiri intorno al 5-10%.
Si tratta di una patologia ambivalente, tanto temuta dagli esperti quanto amata da chi ne soffre. Nell’immaginario collettivo infatti, l’anoressia è associata a modelle, attrici, principesse; giovani donne attraenti, famose, invidiabili; ed è proprio l’effetto di illusoria elevazione al di sopra della massa a renderla così affascinante. Al contempo, si tratta di una malattia che più di ogni altra psicopatologia può avere esiti letali (5-18% dei casi) e rappresenta la seconda causa di morte in età giovanile.
L’anoressia si struttura in maniera graduale, attraverso una restrizione progressiva per quanto concerne qualità e quantità del cibo fino all’astinenza. L’ossessione per il cibo e l’atteggiamento estremamente selettivo verso l’alimentazione, fino al totale rifiuto, comportano un rapido dimagrimento (10-15 kg in 2-3 mesi). Paradossalmente, più il peso corporeo diminuisce, più le anoressiche si percepiscono grasse: è come se indossassero delle lenti deformanti e l’effetto dispercettivo aumenta con il progredire della malattia.
Se, inizialmente, il controllo del peso ha come obiettivo quello di raggiungere una piacevole forma fisica quale ricerca di un’ideale di bellezza e accettazione da parte degli altri, in un secondo momento, la magrezza diviene fine a sé stessa. L’ossessione per il controllo del proprio peso e del proprio corpo e le limitazioni si estendono a più ambiti, fino al rifiuto di qualsiasi tipo di sensazione piacevole oltre che un progressivo isolamento dalle relazioni sociali. Il controllo su sé stesse garantisce una sensazione di autonomia e indipendenza, virtù a cui anelare, una sorta di ascesi ed elevazione rispetto agli altri: si tratta di un controllo, seppur illusorio, talmente ben riuscito da non poterne fare a meno.
L’anoressia diviene ben presto un’armatura che protegge dalle sensazioni piacevoli temute e, al contempo, una prigione dorata dalla quale non si è più in grado di fuggire.
La terapia breve strategica è ritenuta attualmente la best practice per i disordini alimentari, con un’efficacia, per quanto riguarda l’anoressia nervosa, superiore all’80% (le terapie tradizionali si aggirano intorno al 40%).
Il terapeuta strategico interviene sul disturbo utilizzando una logica non ordinaria al fine di aggirare le forti resistenze, agendo sui fattori interagenti coinvolti nella patologia – a iniziare dalle percezioni alterate che producono reazioni comportamentali, emotive e cognitive distorte – e, sopratutto, sulle interazioni familiari complici dell’emergere e del sussistere del problema.